“Sindrome della Capanna” o nuova vita?
Abbiamo passato una vita intera a lamentarci dei ritmi frenetici, delle occhiaie che solcano inesorabilmente il viso dopo giornate interminabili, stressanti, faticose. Abbiamo maledetto il traffico, i parcheggi che non si trovano, le code al supermercato, le gomitate nei centri commerciali, la musica a tutto volume nei pub. Abbiamo contato le ore di sonno che mancavano all’appello, trascorrendo tre quarti del fine settimana a dormire per recuperare la stanchezza. O peggio ancora ci siamo ritrovate con l’aspirapolvere in mano il sabato mattina per dare alla casa un aspetto decente dopo giorni di caos e trascuratezza totale.
Abbiamo detestato ogni lunedì mattina, di pioggia o di sole, reclamando a gran voce il diritto di prenderci il nostro tempo, il nostro spazio, quello che non era mai abbastanza per fare nulla e che ci ha sempre costrette a rimandare il parrucchiere, la palestra, il giardinaggio. E adesso che abbiamo imparato a fermarci, a respirare, a goderci tutto il bello che c’è tra le mura domestiche, ci vengono a raccontare che soffriamo di questa strana sindrome, chiamata “della capanna”. Riscoprire la lentezza, a mio avviso, è stato un bene.
Allentare la presa per goderci finalmente ciò che ci è sempre mancato: il tempo. E anche se da qualche settimana ci siamo gradualmente “riappropriati” della nostra libertà, ora la frenesia di fare tutto e subito, o di riempire l’agenda di appuntamenti dalla mattina alla sera, fa parte di una quotidianità che non mi appartiene più. Una consapevolezza insolita e quasi spiazzante. Da questi mesi ho imparato che le mani sporche di farina per preparare una semplice torta di mele danno più soddisfazione di una manicure impeccabile; che una passeggiata all’aria aperta regala molto più benessere di un aperitivo in centro.
E se ripenso a quel senso di ansia e di impazienza, a quell’esigenza di correre, correre, correre, a quelle “x” con cui depennavo impegni per poi vederne sopraggiungere sempre di nuovi, in un limbo di “non posso rimandare”, “devo finire”, “devo resistere”, allora la vita “com’era prima” non mi manca per niente.
Concordo in pieno. Oddio devo dire che io partivo avvantaggiata dall’essere pantofolaia già da prima. LE mani in pasta sono un anti stress perfetto. E’ vero che molti si sono chiusi, ma altri hanno ridisegnato i propri confini…quindi sta a noi trovare il modo migliore per vivere o arredare questa “capanna”.