Bentornati al Sud
Durante la quarantena pensavo spesso a come sarebbe stato il mio ritorno al Sud. Mi vedevo con la testa fuori dal finestrino, tipo cagnolino felice, a respirare finalmente quell’aria di libertà tipica del viaggio on the road. Immaginavo di percorrere emozionata il tragitto in macchina che di regola percorro almeno una volta al mese per recarmi in Basilicata, a Melfi, che è un po’ la mia seconda casa perchè ci lavoro ormai da anni, ma principalmente perchè è il paese in cui è nato Luca, il mio compagno di viaggio.
Ogni volta che arriviamo, ho la strana sensazione di essere arrivata a casa nonostante sia partita da casa. Una sorta di gradevole corto circuito che ha il potenziale di aprire la strada a domande tipo: “Ma quindi qual è casa mia?”, “Dove è la vera me?” e cose di questo tipo, ma poi sento l’odore dei peperoni arrostiti, mi dimentico di tutte le riflessioni esistenziali e inizio a mangiare.
Questa terra sa di pace. Non so come spiegarlo bene e mi rendo conto che si tratta di una considerazione soggettiva, dipesa dalla mia condizione di cittadina esaurita che quando viene in Lucania si rilassa e si gode i ritmi rallentati e il cibo sano, però per me è così. Qui c’è pace.
So benissimo che tante, tantissime persone hanno invece voluto o dovuto lasciare questi luoghi: i giovani per studiare in Università “migliori”, i lavoratori per cercare un impiego dignitoso, i genitori per dare ai propri figli maggiori occasioni. Eppure, nonostante e forse proprio per questo, Melfi è il mio rifugio.
Negli ultimi tre mesi ho temuto che il virus si propagasse qui al Sud, in questo cuore stanco del meridione. E invece se la sono cavata abbastanza bene, sono stati bravi. Si sono chiusi in casa senza se e senza ma.
“Il grosso qui da noi non è arrivato” dicono tutti. E lo dicono con l’aria di chi è sopravvissuto ad una morte certa. Ora ce l’hanno un po’ con chi è tornato dal Nord e temono che con l’estate e tutti i rientri previsti ad agosto la sudata conquista dei contagi zero possa vanificarsi.
Speriamo di no. Anche questo lo si ripete spesso durante queste stranissime chiacchiere a distanza da dietro le mascherine. Sì, perchè se a Roma mi sembrava strano limitare le conversazioni e tenersi a debita distanza da amici e parenti, qui è proprio inaccettabile. Non ce la fai. C’è qualcosa che ti attira verso le persone. Se incontri per strada un amico, all’inizio ci provi a tenerti a un paio di metri, ma quando la conversazione è finita ti ritrovi a meno di un metro e ti rendi conto che, parlando parlando, tu e il tuo interlocutore vi siete spostati in senso circolare e irregolare, tanto da formare il simbolo dell’infinito.
Mi è mancato il Sud, mi è mancata quest’aria che, mi dispiace dirlo, ma è sempre stata più pulita perfino di quella che abbiamo respirato a Roma in questi tre mesi.
Certo, anche se qui il grosso non c’è stato, la paura è stata tanta, la comunità ha avuto le sue poche, per fortuna, ma tragiche perdite che hanno lasciato un segno indelebile nel tessuto sociale. Questo perchè la cosa bella di “giù” è che ci si conosce tutti e nonostante le normali diversità, nelle difficoltà si soffre e si lotta insieme.
Ora la sensazione è che il peggio sia passato. E tanto basta a godersi un po’ di ritrovata libertà anche qui dove tutto sembra uguale, ma inevitabilmente diverso da prima.
E’ bello essere di nuovo a casa. Cioè, non casa casa, l’altra casa. Vabbè, ci siamo capiti.