Vulnerabilità
All’inizio di quest’anno avevo tre certezze (oltre la famiglia e gli amici, ça va sans dire): il lavoro, una nuova casa e la Lazio.
Sapevo che il lavoro mi avrebbe fatto penare, ma anche che mi avrebbe dato soddisfazioni. Quasi pregavo ogni sera affinché l’alta stagione del turismo fosse clemente onde evitare la pazzia che quasi ho rischiato lo scorso anno, ma in fondo faccio un lavoro che mi piace e che mi mette continuamente alla prova e anche nelle difficoltà mi fa sentire viva oltre che capace.
Sapevo che avrei iniziato a godermi la mia tanto agognata libertà andando a vivere per conto mio: dopo anni, dopo momenti di sconforto, dopo i ritorni a casa alla fine di una storia d’amore che si è fermata, finalmente il riscatto a tu per tu con la mia vita. Un nuovo inizio, un nuovo capitolo, un nuovo tutto.
Sapevo che la Lazio mi avrebbe donato grandi gioie, forse anche insperate, ma di certo belle, come belle sono le gioie che ti regalano quelle passioni che ti scorrono dentro.
Finalmente il vento che soffia dalla parte giusta, pensi.
Poi il Covid, il lockdown, la fase 1, la fase 2.
Il lavoro è una cassa integrazione che stenta ad arrivare, ma dura senza fine. È una prospettiva ignota per cui oggi sei tutelato ma domani chi lo sa. È uno stare a casa in attesa del ritorno. Sono le frontiere chiuse con il resto del mondo e per chi lavora nel turismo questo è l’essere ad un passo dal baratro.
La mia casa è nelle mura che ora mi proteggono, adesso, ma queste mura mi tengono bloccate qua, ogni giorno a fare i conti per capire se e quanto ancora questa casa potrà essere definita tale, valutando a più riprese, di giorno e di notte, se non sia il caso di fare un passo indietro e tornare al punto di partenza.
Il campionato è sospeso, riprenderà fra qualche settimane in modalità difficili da accettare, si fa aspettare, desiderare e fa incazzare vedere una passione bloccata. E per chi vive di questo, di passioni, Dio solo sa cosa voglia dire.
Adesso stringo i denti, nel senso più pratico de termine. Mi sorprendo a digrignarli mentre penso, nelle lunghe camminate di queste giornate di ritorno alla normalità, che per me di normale non hanno veramente niente.
Adesso sono vulnerabile, e la speranza diventa facilmente disperazione, la gioia si trasforma in rabbia nel giro di un respiro, l’euforia cede il passo alla tristezza ad ogni metro di distanziamento sociale.
Io ci provo, a raccontare il bello nonostante tutto. A vivere quel “bene, anzi benissimo” che da il nome alla mia rubrica di flussi di pensieri. Mi sforzo con tutta me stessa, con una forza che mai e poi mai avrei creduto di avere, ancora. Ma qua è un attimo che tutto va, che tutto cambia, che ogni sensazione si colora delle sue mille sfumature. E’ un attimo che il senso di forza cede il passo alla fragilità, all’estrema sensibilità, alla debolezza emotiva.
Mi fermo, respiro, mi concentro. Acchiappo i pensieri, i viaggi mentali, le paure, le domande, i dubbi, mi concentro sul qui ed ora.
Mi placo.
E tiro un sospiro di sollievo, perchè lo so che siamo in tanti a sentirci così: vulnerabili. E alle volte, in certi giorni, in certi momenti, anche solo sentirsi capiti e compresi, sentirsi arcipelago in questo insieme di isole che siamo diventati tutti, è tanto, se non addirittura tutto.
E passerà, prima o poi. E arriverà un pò di serenità, qualche risposta, qualche progetto che scavalli domani.
Riprenderà il lavoro, questa casa diventerà il rifugio della mia libertà, e la Lazio mi darà quelle gioie che ancora aspetto.