Cambio città ma la fame resta: una vita a tavola
Ci ho girato attorno una prima volta (qui), ma ora sento di non poter scappare dall’argomento. Lo affronto, di petto, con la mia seconda scarsa, e gli dedico questi paragrafi. Parlo di lui, il dio Cibo. Posso aver avuto nella mia vita momenti in cui la fede o la fiducia in qualcosa o qualcuno hanno traballato. Qualche oscillazione nel feeling con l’amica del cuore, qualche turbolenza nel rapporto con i genitori, qualche tentennamento sulle capacità della mia estetista ma mai, mai dubbi su di lui. Il cibo c’è sempre stato e parte di esso sempre ci sarà, sotto forma di cellulite o di culotte de cheval (a proposito, cousin français, non è dare un nome elegante ai cuscinetti sulle cosce che renderà più dolce questo inestetismo!) sarà sempre lì, a ricordarmi che talvolta ho esagerato. Ma so che sono stata felice almeno per qualche secondo, nanosecondo. Sono la Florence Griffith della pista, scusate, della pasta al forno. Mi dimentico di masticare a volte, non riesco a rilassarmi davanti a un piatto. Lo voglio tutto e subito. In barba alle raccomandazioni di nutrizionisti e dietologi, con spregio verso i bradipi della tavola, coloro che addirittura appoggiano la posata tra un boccone e l’altro. Voi siete pazzi! Io non la lascio fino alla fine, usque ad finem, come una vera combattente. Che poi, a proposito di lotta, io con il cibo non ho mai avuto contrasti. Non è mai stato un rapporto difficile, pochi dissapori anche durante l’adolescenza, periodo in cui l’autostima – solo lei però – è leggerissima e basta uno sguardo per farla andare giù. Però è vero che nel tempo il rapporto è cambiato, cresciuto. Insieme alla mia taglia.
Io con questa adorazione per il cibo ci sono nata e non ho mai guardato in faccia nessuno. Neanche mio fratello, di quattro anni più piccolo di me. Quando mia madre gli dava gli omogeneizzati di carne io ero lì e la costringevo a dare un boccone anche a me ed è andata così fin quando anche lui è passato al cibo vero. Lui per fortuna non se lo ricorda ma i miei sì e raccontano sempre questa storia. Sempre e davanti a chiunque. Capite che poi la mia fame mi precede?
Non lo so se incide il luogo in cui nasci. La Sicilia è una cucina a cielo aperto, sarà l’aria di mare che apre i polmoni e pure lo stomaco. Però sono cresciuta con l’idea che i momenti del pranzo e della cena siano sacri. La sera a tavola si programma cosa mangiare per il pranzo del giorno dopo e a pranzo cosa preparare per cena. Un’ossessione? Forse. Anche se lo vedo più come un atto d’amore. Io non lo so cosa una madre e una figlia valdostane lontane si dicano al telefono. Ma posso dirvi qual è la domanda che mia madre mi pone ognissantissimoggiorno: “hai mangiato?”. Ora, ho una quantità di tessuto adiposo bianco tale da poter fornire energia pure al vicino di casa perciò, se anche saltassi un pasto, non sarebbe grave. Ammetto che il salto dei pasti è l’unica attività che pratico spesso, ma altrettanto spesso a lei non lo dico. Però quella domanda lì io ho imparato a farla a chi voglio bene. In fondo lo dice pure Elsa Morante: “La frase d’amore, l’unica, è: hai mangiato?”. Ma il gioco si fa più difficile quando mi chiede COSA ho mangiato. E a quel punto devo essere pronta. Perché se ho saltato il pranzo sono secondi di panico, mi scorre davanti tutta la mia vita a tavola, ricette, piatti pronti, snack. Cosa le dico? Niente, quei secondi di silenzio che impiego a cercare la risposta credibile mi tradiscono e si conclude tutto con un: “Fai tu, hai trent’anni, non te lo devo dire io che devi mangiare” da parte sua. Ogni volta lo stesso copione.
Comunque è vero che si cresce e si cambia. Da ragazzina avevo la fobia di mangiare in pubblico, se uscivo con qualcuno doveva essere un appuntamento pre o post-prandiale. Giovane stupida, direbbe Cremonini. Oggi prediligo proprio il pranzo o la cena per incontrare qualcuno. E’ il banco di prova. Se lui mangia e beve come me allora va bene. Se è astemio transeat, se è inappetente finisce lì. Ma perché, capite, poi come lo presento a mia madre?
A proposito, eccola, mi sta chiamando. Vado che stasera sono preparata: ho la canard à l’orange sul fuoco.