Le nuove prime volte.
Ho sempre avuto una sorta di venerazione per le prime volte, per quelle cose che ciclicamente ritornano, con il cambiare del tempo e delle stagioni, dei momenti e delle fasi.
Le prime volte per me sono sempre una piccola festa, la celebrazione di un ritorno aspettato da tempo.
La prima maglia a manica corta, con l’aria fresca che accarezza la pelle e lo spirito. La prima passeggiata al mare dopo mesi di letargo. Il primo gelato dopo un freddo inverno. Il primo sandalo indossato come segno dell’arrivo della stagione della leggerezza. La prima sciarpa al collo per coprire dai primi freddi. I primi profumi dell’autunno, la prima pioggia di stagione, il primo buio che precede la luce che tornerà.
In questo nuovo contesto sociale e storico che stiamo vivendo, la celebrazione delle nuove prime volte ha un valore ancora più profondo.
I primi abbracci, accantonati i distanziamenti sociali: i primi abbracci dati con quella passione che batte dentro, con quella voglia di donare che dovrà pure trovare la sua valvola di sfogo. I primi abbracci che bastano da soli ad esprimere le mille e più parole che rappresentano: “mi sei mancato” – “finalmente” – “ho bisogno di te” – “ora sono a casa”. La gioia del primo vero abbraccio dopo mesi dI distanza non ha uguali.
Il primo sguardo occhi negli occhi dopo mesi di parole dietro uno schermo: timido, vago, incerto, impaurito, devastante, sconvolgente. Da togliere il fiato, il respiro, il senso, il tutto. Ma anche da ridarlo indietro, quel tutto perso per strada: indietro a chi ha fatto male i conti con la realtà e si riprende un pò di amor proprio, indietro a chi ha capito che la strada alla fine era un’altra. Il primo sguardo di chi si trova, di chi si lascia, di chi si riprende. Il primo vero incontro con la realtà visiva, che Dio solo sa quanto possa essermi mancata.
Il primo giro in macchina dopo mesi di camminate a 200 mt da casa: un pò come quando prendi la patente e non vedi l’ora di girare senza meta solo per il gusto di guidare, e ogni prima volta fatta per il gusto di fare ha un sapore tutto particolare.
Il primo caffè ordinato al tavolino di un bar: finalmente la normalità in questa nuova vita. La prima passeggiata fatta senza limiti: di tempo, di spazi, di distanze. Il primo drink bevuto fuori, in una notte di primavera romana, forse con un silenzio a cui non siamo abituati ma che ha sempre il suo fascino.
Le prime nuove consapevolezze, dono di un periodo che ha portato tutti a qualche riflessione: che la vita è troppo effimera per stare male appresso a ciò che non fa per noi. Che ciò di cui abbiamo bisogno realmente è molto più vicino a noi di quanto non abbiamo sempre cercato. Che conta il qui e adesso, ora più che mai, perchè qua è un attimo che tutto cambia e ancora può cambiare. Che in ogni caso, al di la di come andranno le cose, non possiamo sapere cosa sapere cosa succederà, e a ben pensarci se da un lato questo fa paura, dall’altro è piuttosto confortante. Che la vita tutta, in fondo, altro non è che un paradosso di cose, sensazioni, eventi e momenti che si alternano, donandoci ogni volta delle nuove prime volte che porteremo per sempre con noi e che da sole basteranno a dare un senso a tutto ciò che sembrava perso.