Dalla Calabria bloccata a Lodi: la testimonianza di Wioleta

Dalla Calabria bloccata a Lodi: la testimonianza di Wioleta

Trapelata la bozza del decreto legge, che istituiva la zona rossa in Lombardia, centinaia e centinaia di studenti hanno assalito i treni notturni delle due principali stazioni ferroviarie di Milano per rientrare al Sud dai loro cari e trascorrere la quarantena in compagnia. Il tutto è avvenuto senza non poche polemiche la sera dell’8 marzo: appresa la notizia confermata anche dalle foto scattate dal personale in servizio nelle stazioni e poi divenute immediatamente “virali” sui social, le regioni meridionali sono insorte e i Governatori locali preoccupati per l’espandersi del contagio hanno emanato nell’arco di poche ore ordinanze restrittive per bloccare i rientri, il flusso di pendolari da Nord a Sud. Definiti in tutti i modi ed in tutti i laghi, classificati come “untori” irresponsabili, si tratta per lo più di ragazzi, studenti fuori sede a cui hanno sospeso corsi, esami, sedute di laurea, lavoretti part-time, con un affitto da pagare e senza supporto psicologico. Molti di loro hanno scelto tuttavia di restare per tutelare i propri affetti dalla possibilità di contrarre questa polmonite sconosciuta. C’è anche chi è partito al Nord in cerca di fortuna proprio come i nostri nonni prima di noi, ma una volta giunto a destinazione si è ritrovato nella “florida” Lombardia spaesato, solo e con un pugno di mosche in tasca. I due mesi di clausura obbligata per loro si sono rivelati più sofferti e turbolenti di quanto possiate immaginare.

Questa è la testimonianza di Wioleta partita dalla Calabria con l’attuale compagno, siciliano d’origine, entrambi in cerca di lavoro. Con una valigia di sogni e speranze e una nuova casa nel lodigiano, avevano da poco iniziato a disegnare un futuro roseo insieme. Ma la vita è sempre imprevedibile. Il suo racconto vuole essere uno spunto di riflessione per migliorarci come persone e come esseri umani.

Amore, dove mi porti a cena stasera?”. Inizia così la nostra quarantena. 

Era l’8 Marzo quando, ignari del dpcm appena emesso, siamo usciti per cenare fuori. Abbiamo appreso poi dalle trasmissioni radiofoniche che l’orario di chiusura dei ristoranti era stato anticipato alle 18.00 e che la nostra bella libertà iniziava a vacillare. Quella sera la notizia ha turbato sia me che Cristian, il mio fidanzato. Eravamo impauriti ed impreparati ad affrontare una situazione che avrebbe portato a cambiamenti permanenti nella nostra vita. 

Non eravamo pronti a rinchiuderci in casa. Abitiamo in un piccolo monolocale al centro di Lodi, e questi due mesi non sono stati uno spasso. Catapultati in pochi giorni in un circolo ridefinito “zona rossa”, ci sentivamo fuori dal mondo. In un film di fantascienza.

Ci siamo ritrovati in poche ore a vivere in una regione che veniva additata ed i suoi abitanti colpevolizzati e paragonati agli appestati. Nasceva in quei giorni tutto l’odio e la rabbia che leggo ancora oggi sui social. Non capisco come ciò sia possibile davanti a così tanti morti in un momento difficile per tutti. Perché tanto disprezzo e rabbia verso conterranei partiti altrove per cercare un po’ di lavoro con sforzi sia economici che psicologici? Non è uno spasso partire, cambiare vita, abitudini, amicizie. Ti ritrovi lontano e solo ad affrontare un mondo nuovo. E poi, tutto ad un tratto, perdi il lavoro, hai l’affitto che scade a fine mese, le spese e la tua solitudine che diventa subito una fedele compagna. Ed è a quel punto che ripensi alla famiglia e ti senti chiamare “mammone”, immaturo, ignorante. Tu, che con una valigia in mano ed il cuore nell’altra hai lasciato la tua terra, i tuoi affetti, le tue abitudini, la tua cultura, il tuo dialetto, la tua casa con enormi sacrifici per cercare una strada migliore e che ora hai bisogno solo di essere capito e rispettato nel dolore come tutti.

I leoni da tastiera sono sempre esistiti, ma oggi più che mai mi sento afflitta. Mi ferisce più questa totale ignoranza, cattiveria, mancanza di solidarietà e umanità che il virus in sé.

No, non andrà tutto bene, se è questo che volete sapere.

Non sapete quante volte ci siamo pentiti di non aver partecipato al rientro in massa nella nostra amata terra. Non potevamo immaginare che la situazione fosse così grave e che si sarebbe protratta così a lungo. 

Ah, casa mia, bella, così accogliente e grande, dove ogni volta c’è spazio per tutti. Anch’io vorrei essere tornata da te e scrivere da lì in questo momento, ma sai, non è stato possibile. Abbiamo pensato al caos e ai problemi che avremmo potuto causare alle nostre famiglie rientrando. Pur avendo usato tutte le dovute precauzioni e pensando di poter tornare in auto in silenzio, li avremmo costretti ad una quarantena forzata e all’impossibilità di lavorare.

Ed allora, ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo riorganizzato la quotidianità, dando spazio alla creatività lanciandoci in diverse attività. Cucina, sport, relax, lettura, giochi. Abbiamo creato nuovi spazi per amici e parenti. Abbiamo videochiamato le mamme e giocato con i fratelli a distanza, cucinato con le zie e preso comunque il thè con le cugine. Abbiamo unito due nazioni, 3 regioni e più famiglie.

Ad oggi, con l’incertezza del lavoro appena trovato, l’affitto e le altre spese annesse, ci riteniamo fortunati. In Lombardia in cui l’allerta era alta, i casi di positività non più numericamente controllabili, respiriamo ora un po’ di libertà. Rimangono la distanza, la diffidenza e la paura, con cui abbiamo imparato a convivere, sebbene nonostante tutto alla fine sorridiamo sempre per ciò che abbiamo.

Sono contenta di poter finalmente uscire e godermi il sole, le carezze del vento ed i rumori del parco. Vedo occhi sorridenti e cuori più leggeri. Poter riabbracciare un figlio, un genitore o un amato ci restituisce vita.

Io, ho deciso di aspettare per l’abbraccio. Aspetterò che sblocchino ufficialmente tutto riaprendo le frontiere regionali e magari solo allora la paura passerà del tutto.

Gilda Pucci

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