Ritorno alla semi normalità. Con ansia.

Ritorno alla semi normalità. Con ansia.

Ho atteso una settimana prima di mettere nero su bianco le mie sensazioni, prima di raccogliere la challenge #respiraquestalibertà. Perché la “libertà” qui, in Svizzera, ha riaperto i battenti l’11 maggio con un “APRITE TUTTO” – scuole comprese.

Eh si, mentre in Italia si dibatte se e come riaprire le scuole a settembre, mettendo nella comprensibile agitazione milioni di genitori, qui hanno aspettato che la curva dei contagi scendesse. All’inizio ero contenta: adoro le mie figlie ma dopo due mesi a casa con loro l’idea di “potermene liberare” anche solo per quattro ore non mi dispiaceva. Poi però è arrivata la botta di ansia: “Saranno sicure? Saremo tutti sicuri”?

Rientro a scuola

Dopo un vorticoso giro di mail dalla scuola dove si elencavano tutte le procedure di sicurezza adottate, tra cui entrata scaglionata, lavaggio mani ogni ora, distanziamento tra maestre ed alunni, ricreazione solo con il proprio gruppo e la consapevolezza che questa fosse una riapertura parziale, alla fine ho messo da parte l’ansia e mi sono messa l’anima in pace.

Lunedì 11 maggio Giulia ed Elena si sono svegliate presto. Emozionate. Io ero un cadavere per aver passato la notte in bianco. Evidentemente, il mio subconscio non si era messo l’anima in pace. Tutti pronti, usciamo di casa verso le 8 e subito a scuola. Arrivati all’ingresso a noi genitori ci hanno fermato e loro hanno proseguito da sole. Le maestre dalla finestra facevano un cenno quando le bambine erano dentro la classe. Mio marito con mascherina sul volto è andato a prendere il treno per andare a lavoro. Anche lui ha ripreso l’11 maggio in sede e non più da casa. Sono tornata a casa e mi sono seduta sul divano ad assaporare il silenzio e cercare di reprimere l’agitazione. Erano tutti contenti di ricominciare. Perché l’unica ad essere agitata dovevo essere io?

Dopo una settimana è successo. Alla fine l’abitudine la prendi. A lavarti le mani spesso, a tenere le mascherine vicino alla porta d’ingresso insieme al mazzo di chiavi, a lasciare le scarpe fuori l’ingresso, a parlare con la gente senza avvicinarti, a fare la fila per entrare in un negozio o alla posta, a disinfettarti le mani quando entri in ogni dove, a cambiare marciapiede per mantenere la distanza. In una settimana mi sono già abituata. L’ansia è sempre lì perché sa che questa non è la normalità. Anche se cerchiamo di farcela andare bene così. Dobbiamo, per forza. Ma non chiamiamola normalità. Quella la vedo ancora molto lontana.

Il tricolore sventola dal mio balcone. In lontananza, le montagne che mi separano dall’Italia

Forse andrà meglio quando potrò riabbracciare mia madre. Si, perché se c’è una cosa che in questa quarantena ho sofferto tantissimo è sapere di non avere la libertà di tornare a casa mia, a Roma. Le frontiere chiuse mi hanno dilaniato. La verità è che noi “italiani all’estero” abbiamo fatto una doppia quarantena. Ci siamo chiusi in casa come il resto d’Italia, anche se nei nostri Paesi ospitanti erano ancora convinti che si trattasse solo di un’influenza. Lo abbiamo fatto un po’ perché conoscevamo meglio degli altri i rischi di questa malattia, ma anche per solidarietà. Siamo italiani sempre, anche se siamo lontani. Ora che abbiamo riacquistato questa “semi libertà” mi sento come se fossi divisa in tre: tra la voglia di ricominciare, la consapevolezza che non sarà come prima e l’ansia che, già lo so, mi terrà compagnia per un pezzo.

#respiraquestalibertà

Paola Proietti

Classe '77, giornalista professionista dal 2008. Ho lavorato in radio, televisione e, vista l'età, anche per la vecchia carta stampata. Orgogliosamente romana, nel 2015 mi trasferisco, per amore, in Svizzera, a Ginevra, dove rivoluziono la mia vita e il mio lavoro. Mamma di due bambine, lotto costantemente con l'accento francese e scopro ogni giorno un pezzo di me, da vera multitasking expat.

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