Islam, idee preconfezionate e cattiva informazione
Islam e Italia sono due parole che ancora oggi è difficile accostare, di cui si ha paura per una serie di motivazioni di ordine sociale, psicologico e ovviamente storico, perché sin dal Medio Evo c’è stata una contrapposizione netta tra due mondi che apparentemente non si sono mai incontrati. Apparentemente perché la realtà è decisamente più ‘liquida’ e fluida di quella che pensiamo di conoscere. Nello scontro c’è sempre l’incontro, ma questo non è bastato a deporre le armi e a capire che per certi versi siamo molto più vicini di quello che uno potrebbe pensare.
Proprio per questo motivo ho deciso di pubblicare in rete, approfittando di questo spazio, un’intervista accademica risalente al 2004 e che ha fatto parte del lavoro che ho realizzato come conclusione dei miei studi in Scienze e Tecnologie della Comunicazione presso l’Università La Sapienza di Roma.
L’undici settembre era ancora fresco sulla nostra pelle e proprio questo fatto mi spinse a ricercare i motivi per cui una donna italiana, in quell’epoca cosi’ complessa, decidesse di convertirsi all’Islam per scelta personale e non spinta da motivi di coppia (es. un matrimonio).
Ne nacque un affresco variegato e molto interessante, dove sociologia e psicologia umana si fondono dando risultati inaspettati. Le donne che intervistate all’epoca venivano da esperienze completamente diverse, eppure il fil rouge che le univa era aver trovato quel senso di pace che le situazioni precedenti (ateismo/Cristianesimo) non riuscivano donargli.
Oggi pero’, più di quelle esperienze, per me conta portare alla luce elementi che spesso vengono mistificati nella comunicazione/informazione odierna sull’Islam e i suoi dintorni. Non esiste un Islam, esistono tanti Islam come non esiste un solo Cristianesimo.
Nell’intervista che segue, il confronto che ebbi all’epoca con il Prof. Roberto Gritti, docente di Sociologia delle Relazioni Internazionali presso La Sapienza. Un discorso netto e senza fronzoli, ma che va diretto ad alcune questioni ancora oggi mistificate per ignoranza o comodità.
Buona lettura
– ROMA OTTOBRE 2004 –
La presenza dei mussulmani è crescente nel nostro paese, visto ormai come terra d’immigrazione. Quanto può aver contribuito ciò alla diffusione, anche tra gli italiani, di questa religione?
Sicuramente l’Islam in Italia arriva con l’immigrazione, anche se l’immigrazione non ha nulla di religioso: non si emigra in Italia per motivi religiosi, ma per motivi economici. Quindi la presenza dell’Islam è dovuta alle nuove caratteristiche dell’immigrazione in generale, è un’immigrazione che, rispetto al passato, sembra rimanere e radicarsi nelle società ospitanti. L’Islam, a parte piccole presenze antecedenti, è arrivato negli ultimi quindici anni, con l’immigrazione di massa in Italia. Il fenomeno Islam è dunque un fenomeno nato nell’immigrazione, ma che sta diventando sempre di più un fenomeno italiano, o un fenomeno europeo proprio perché queste popolazioni, che hanno come bagaglio culturale l’Islam, tendono a stabilirsi definitivamente in Europa.
Cosa spinge un individuo, specie se donna, a convertirsi all’Islam?
Immagino che l’unica ragione sia una ragione spirituale oppure, come nel caso delle unioni miste, delle motivazioni molto pratiche: quella di poter sposare una persona di altra religione. Anche se ritengo che questo sia molto spesso un errore, perché ci deve essere una visione laica anche del rapporto di coppia, nel senso che le unioni miste che riescono meglio sono quelle in cui le persone che si sposano mantengono la propria religione. Che sia una donna o un uomo non credo faccia differenza, il fine è sempre quello spirituale, si potrebbero dare spiegazioni psicologiche o sociologiche, ma credo che il fenomeno sia assolutamente normale in una società multiculturale: in Italia è un fenomeno abbastanza ridotto, parliamo di poche decine di migliaia di persone convertite.
Tra le varie correnti islamiche qual è quella che “attira” maggiormente i convertiti?
In occidente, in Europa e negli Stati Uniti soprattutto, il maggior numero di convertiti si accosta all’ordine dei Sufi, perché molto attratti da questa forma più sincretica e flessibile, non rigida e puritana dell’Islam. Ad esempio, in molte parti d’Europa e negli Stati Uniti, questo ordine Sufi, che è appunto la corrente con più elementi mistici e ascetici dell’Islam, attrae soprattutto gli occidentali scottati da una modernità materialista e cerca di soddisfare il loro bisogno spirituale non solo con la conversione all’Islam, ma soprattutto attraverso la via del ascetismo Sufi.
Cosa vuole dire essere mussulmani oggi in Italia? Cosa aggiunge a ciò il fattore conversione?
Il fattore conversione è importante socialmente per la comunità dei mussulmani, anche se in realtà una comunità dei mussulmani in Italia non esiste: c’è una presenza di persone mussulmane, ma non esiste una comunità mussulmana perché le persone che appartengono all’Islam provengono da una diversità enorme di paesi, gruppi etnici, linguistici. In Italia la presenza mussulmana non è come in Germania, che è esclusivamente di provenienza turca o curda, o come in Francia algerina e marocchina, o come in Inghilterra pakistana e indiana. In Italia i mussulmani appartengono a cinquanta nazionalità diverse, parlano lingue diverse fra di loro, e così uno del Bangladesh non capisce quello che dice uno del Marocco, non lo può capire. Questo tipo di presenza islamica in Italia, molto plurale ed eterogenea, è un fattore molto positivo d’integrazione: vuole dire non rinchiudersi dentro una comunità, ma integrarsi nella società.
Non crede che i problemi principali di integrazione fra le due realtà nascano dall’inenarranza del testo Sacro? La religione islamica è la più giovane tra quelle monoteistiche e la storia ci insegna che anche cristiani ed ebrei hanno dovuto rivedere alcuni dei loro principi…
Questo aspetto riguarda i fondamentalisti: l’inenarranza del testo sacro viene praticata dai fondamentalisti ebraici, islamici, cristiani. Negli Stati Uniti ci sono decine di milioni di fondamentalisti protestanti che parlano di attuare la Bibbia in modo letterale, senza interpretarla. Io sono uno che sostiene che nell’Islam non c’è un numero di fondamentalisti maggiore rispetto alle altre religioni, l’inenarranza è un prodotto del fondamentalismo religioso in senso generale, quindi ritengo che la maggior parte dei mussulmani in Italia non sia fondamentalista, quindi non vedo problemi d’integrazione religiosa, ma semplicemente i normali problemi di tipo culturale che ci possono essere con popolazioni straniere. C’è una sorta d’integrazione latente dell’Islam, anche se manca l’intesa, manca un riconoscimento istituzionale, tuttavia c’è un riconoscimento civile: proprio di ieri (2 novembre) è la notizia della creazione di un cimitero islamico in provincia di Agrigento. Gli enti locali hanno una funzione importantissima in questo processo: dove non riusciamo a risolvere i problemi a livello di Stato, la società ed i governi locali riescono e risolvere i veri problemi quotidiani dell’Islam e dei mussulmani.
Diversi studiosi sono concordi nel rilevare che la condizione femminile nell’Islam sia stata mutata dall’incontro con le altre civiltà mediterranee nell’età cristiano bizantina, lei cosa ne pensa?
Io penso che questo sia uno dei punti critici del rapporto con l’Islam, però penso anche che sia vero che molto è stato mutuato, noi sappiamo dai testi storici che le donne nobili nell’antica Roma andavano velate, è stata ripresa questa tradizione. Nel Corano non si dice che la donna deve essere velata, nel Corano si dice che la donna deve avere un aspetto e un comportamento dignitoso, non dà poi spiegazioni o dettagli particolari. Questa è una tradizione mediterranea, il velo c’era già nell’antica Grecia e nell’antica Roma ed era uno strumento di riconoscimento di uno status speciale, le donne del popolo non lo portavano, solo quelle ricche e nobili. Questa è una tradizione che è esistita anche da noi, bastava andare nei paesi del sud Italia fino a pochi anni fa: le donne andavano a messa e si mettevano un foulard in testa come segno di rispetto e di umiltà. Da questo punto di vista il velo rientra in questo filone della cultura mediterranea. Il problema della donna nel mondo mussulmano secondo me è un altro: il mondo mussulmano è radicato in società tradizionali, con strutture comunitarie molto forti. Nel mondo mussulmano, ma in genere in tutti i paesi non modernizzati, prevalgono le strutture primarie: la famiglia, il clan, il villaggio. Queste comunità soffocano l’emancipazione dell’individuo in generale e mantengono una discriminazione tra uomo e donna che è presente anche in altre culture religiose, ma questa discriminazione è più il frutto della stessa struttura sociale che di quella religiosa. La dottrina religiosa viene poi utilizzata per mantenere questa discriminazione, ma non nasce dal fatto che il Corano è più discriminatorio nei confronti della donna di quanto non lo sia la Bibbia.
Quale peso può avere in una conversione la contrapposizione tra l’imperativo di un individualismo occidentale e la prospettiva d’appartenere ad una comunità coesa come quella islamica?
Sappiamo attraverso studi sociologici e psicologici della richiesta di senso che c’è oggi in occidente, ad esempio uno dei paesi più religiosi al mondo, che è anche il paese più avanzato, cioè gli Stati Uniti, è il paese dove la religiosità è molto più elevata che in Europa, quindi è evidente che c’è una richiesta di senso e di ricerca di comunità. L’Islam è una delle possibili vie, è stata definita dagli studiosi come la religione del ritorno alla religione, come il cristianesimo era la religione della fuoriuscita dalla religione: l’Islam sarebbe la religione del ritorno al sacro. Non credo che sia così, ma che sia appunto questo aspetto comunitario della religione che attrae le persone, anche se questo lo si può ritrovare nel protestantesimo: si pensi allo sviluppo di tutti i movimenti evangelici protestanti che hanno esattamente questa funzione, e l’Islam non si differenzia quindi da questo punto di vista del comunitarismo. Credo sia il bisogno dell’uomo occidentale moderno o almeno di alcune persone, che hanno sperimentato la modernità in forme radicali, che cercano un ritorno di tipo comunitario che può avvenire anche attraverso la religione.
Islam e fondamentalismo, due termini che sembrano andare di pari passo nelle società moderne, come uscire da questa falsa affermazione?
Dico sempre ai miei studenti che bisogna usare bene i termini, che una distinzione terminologica nasconde una distinzione e una chiarezza concettuale. Ora nel discorso quotidiano dell’opinione pubblica e dei media questa chiarezza non c’è. Io distinguo prima di tutto tra Islam e mussulmano: l’Islam è una religione, i mussulmani sono persone che nascono in una cultura in cui c’è l’apporto della religione islamica, ma non solo. Mussulmano è anche un copto egiziano, cioè un cristiano egiziano, perchè nasce in una civiltà prevalentemente mussulmana, ma non è un islamico. Distinguiamo perciò tra l’elemento religioso e culturale in senso ampio prima di tutto, e poi facciamo come negli altri contesti socio-religiosi: distinguere fra il mainstream religioso, cioè le correnti maggioritarie che normalmente sono moderate, quietiste e pensano ai bisogni spirituali, e la piccola parte fondamentalista che esiste in tutti i sistemi socio-religiosi, perchè i fondamentalisti violenti esistono anche nel buddismo, pensiamo all’attentato nella metropolitana di Tokio, nel protestantesimo, negli Stati Uniti pensiamo che chi fece nel ‘95 l’attentato ad Oklahoma City era un fondamentalista cristiano, Timothy McVeigh. Lo fece anche per motivazioni religiose, ma non possiamo rappresentare la società americana attraverso Timothy McVeigh, né quella mussulmana attraverso Bin Laden.
Quali sono le prospettive future? Si riuscirà a comprendere la diversità culturale come una ricchezza più che come pericolo?
Personalmente sono convinto di sì, bisogna lavorarci e anche l’università deve servire a questo. Anche le persone che si formano su argomenti come questo all’università, dovranno poi contribuire, quando navigheranno nella società con i loro comportamenti e con i loro atteggiamenti, a favorire questa valorizzazione delle diversità ed a non averne paura, credo però che in Italia, per tante ragioni, nonostante le difficoltà e gli atteggiamenti quasi nazisti nei confronti dell’Islam e dei mussulmani, di fatto poi si vada verso una società veramente multiculturale, nel senso che la stragrande maggioranza delle persone poi accetta questa diversità, e andiamo verso una via d’integrazione più proveniente dal basso che dall’alto, più dalla società che dalla politica.