Alla ricerca della sportività
Avevo iniziato a digitare sulla tastiera del pc parole d’amore dedicate alla mia più grande passione, il cibo. E invece, improvvisamente, ho cambiato idea – e sentimento – e dedicherò questa pagina alla più grande tensione della mia vita, quella tra me e l’attività fisica. Un’esistenza vissuta nel dissidio interiore tra il senso di fame e il senso di colpa, entrambi alimentati dalla sottoscritta con del cioccolato al latte con nocciole intere: così soddisfo la gola e nutro il conseguente rimorso, tutto in un sol boccone. Sono golosa, è vero. Ma è anche vero che ho le ossa grosse. O almeno questo è quello che i miei hanno iniziato a dirmi dai sette anni in su e io a quest’alibi non ci rinuncio. Tuttavia negli anni ho accettato l’idea che un po’ di sport mi potesse fare bene, così ne ho praticati una serie alla ricerca del mio talento. Lui, il mio talento, non è venuto fuori durante l’anno di ginnastica artistica. Un’esperienza di cui ho rimosso tutto eccetto l’immagine di me con la testa sotto la cavallina e le gambe sopra. Una figura che Simone Biles se la sogna! Una figuraccia che ancora ogni tanto me la sogno. La mia carriera da ginnasta finisce così: a gambe all’aria. Ma letteralmente.
Decido allora di provare con uno sport completo. Il nuoto, è lì, in acqua che le mie doti emergeranno. Quello che lega la mia avventura nel mondo della ginnastica artistica al nuoto è il costume. Mia madre pensò che quel body ancora nuovo da ginnasta potesse essere sfruttato in una piscina senza che il cloro arrecasse alcun danno al tessuto. I fatti dissero altro. Il cotone bagnato aderiva al mio corpo e appesantiva… le mie ossa. E’ così che ho imparato cos’è l’attrito viscoso, in piscina non a scuola, e sulla mia pelle.
Dopo ci sono stati anni di danza hip hop. Poi di danza afro-brasiliana. Poi l’università, per fortuna.
Ma da adulta ci riprovo e arrivata a Milano faccio il grande passo: abbonamento in una palestra di periferia. Inizio cauta, sei mesi compresi di tutto, anche dell’ossigeno in caso di dispnea da sforzo a un prezzo vantaggioso. Sono motivata e quando sono motivata faccio questo ragionamento: “Vabbè, se pure non avrò più voglia di andarci ci ho rimesso poco!”. Io mental coach di me stessa.
Ho iniziato una mattina di ottobre, prima di andare al lavoro, vestita Decathlon e armata di buona volontà. Ho iniziato così, nella fascia mattutina, perché volevo provare il brivido della donna milanese sportiva. Quella che la mattina presto esce di casa come Miranda Priestly ma con il borsone in spalla, perché la sua pausa pranzo è a base di squat e gag. Ecco, io quella mattina di ottobre sono uscita dalla mia ora di allenamento pronta a prendermi un giorno di malattia. Affamata come un grizzly e con la capacità motoria di un pinguino. Da quel giorno in poi palestra solo nel tardo pomeriggio, ché dopo l’unico sforzo che il mio corpo può affrontare è dormire.
Con la palestra comunque è andata bene perché ho trovato i corsi che fanno per me: gag e aero gag. E’ evidente che glutei, addominali e gambe siano i miei punti deboli perciò seguo corsi monotematici. Mi diverto, mi applico e sulla bilancia i miei sensi di colpa si fanno più leggeri. Almeno loro. Ma, ricordiamolo, ho le ossa grosse.
Il mondo della palestra è sempre molto affascinante e vario e a volte vorrei andarci solo per stare a guardare gli altri. Tipo la signora ottantenne della ginnastica posturale che ha scelto un abbigliamento minimal ma eccentrico al tempo stesso. Il pezzo forte, quello che ha catturato la mia attenzione ce l’ha ai piedi: un paio di scarpe da scogli, quelle colorate, bucherellate. Da bambina le ho sempre avute. Immotivatamente, tra l’altro, visto che con i miei andavo sempre in spiaggia.
Eppure lei, con quell’outfit improbabile, sembra proprio nel posto giusto, a suo agio. Io ho i miei leggings traspiranti, anche un po’modellanti, nuovi di zecca (vedi foto) e penso che per una nuotata al mare sarebbero perfetti. Tu, mamma, che dici?