La qualità della vita si misura con “la metro”
Trapani, la mia città di origine, conta circa 68mila abitanti e ognuno ha un’automobile. Ci sono famiglie in cui ci sono più mezzi che persone. E’ la città del comodismo. A Milano 1,35 milioni di abitanti e un trasporto pubblico che ogni giorno, con la sua efficienza, mi fa battere il cuore. A Roma sono 2,87 milioni e una rete di trasporti che il cuore te lo ferma: le valvole cardiache come le fermate Spagna e Barberini chiuse in piena estate ché tanto la città si può girare a piedi agilmente. In questo gioco a chi ce l’ha più bella e grande la rete di trasporti, la mia Drepanon non può proprio partecipare, non ha i mezzi e non conosce le regole. Perciò via libera alle due metropoli.
Procediamo con ordine da Roma (sembra un ossimoro, lo so). Qui, prima di arrivare a Milano, ci ho passato qualche anno. Vivere nella capitale se non sei automunito è un atto di coraggio, è sfidare la lupa con in mano una limetta per unghie come arma di difesa. Ci sono linee e fermate che non dimenticherò mai: il 146 a Battistini, il 135 a Tiburtina. E centoquarantasei e centotrentacinque possono anche essere i minuti di attesa per ognuno di loro. Due linee di metropolitana che coprono la città come a Sanremo 2012 il vestito di Belen Rodriguez le copriva la farfallina. Ma lì, alle fermate di bus che non passano e di metro che ritardano, aspetti. Non ti arrabbi, accetti. Perché questa è la normalità. E se il bus arriva quasi puntuale ti stupisci e sospetti che qualcosa non quadri. Allora non lo prendi e aspetti il prossimo, per sicurezza.
A Milano le cose vanno diversamente. E me ne accorgo la prima volta che salgo su un tram, sempre in un caldo giorno di giugno. A un certo punto un calo di tensione e resta fermo per circa 91 secondi. Accanto a me quella che col tempo ho imparato a riconoscere come “sciura” (il prototipo della signora milanese benestante) si innervosisce dopo un minuto e sbotta: “Ma dove siamo, nel Terzo mondo?”. Per aiutarvi a capire il tono e la cadenza vi invito a pensare a Guido Nicheli aka il “cumenda” di pietre miliari della commedia italiana come “Vacanze di Natale”. Comunque un’insofferenza, quella della signora, che mi ha lasciato basita e mai avrei pensato che un giorno ne sarei stata affetta anche io.
Lo “spostapoveri”, come chiamano la metro i miei amici milanesi automuniti, è una garanzia. L’abbonamento Atm i soldi del mese più ben spesi (a pari merito con la ceretta). I minuti di attesa indicati nel display sotto la pensilina del tram o alla banchina della metro sono sempre arrotondati per eccesso. Tutto va come deve e tu sai di meritartelo perché hai pagato per questo servizio. Perciò, se qualcosa va storto e l’attesa si prolunga di 5 minuti, beh allora ha ragione la sciura. Mi accorgo presto che sono diventata intollerante anche io a certe defaillances e ho dimenticato come si sta nel Terzo mondo. Perché Roma è bella ma.
Un giorno, dopo pochi mesi dal mio trasferimento a Milano, ci sono tornata. Vado in biglietteria perché intendo prendere i mezzi e parlo: “Scusi, un biglietto AMA per favore”. Lui sorride e mi corregge: “Forse ATAC”.
Già, Atac. Perché AMA a Roma si occupa dei rifiuti. Un lapsus, temo freudiano.