L’educatore ai tempi del Covid 19: Michele, Agostina, Pierluigi, Luca e Antonio si raccontano
Cosenza. Nella filiera degli “eroi silenziosi”, tra le figure in prima linea contro il covid 19 c’è quella dell’educatore. Poco considerato e gratificato l’educatore sta alla base di una società sana. I gruppi appartamento per i minori distribuiti in Calabria sono circa una ventina e sono strutture specialistiche che ospitano ragazzi con un’età inferiore ai 18 anni sottoposti a provvedimenti giudiziari. Nelle suddette strutture mancano le forze organizzative, umane, finanziarie, per affrontare l’emergenza sanitaria in corso e non ci sono gli spazi necessari per accogliere e attuare la quarantena qualora si presentasse la necessità di ospitare nuovi ragazzi provenienti dall’esterno. Non è semplice essere un educatore, non lo è soprattutto ai tempi del covid 19 senza dispositivi di protezione individuali, quando i ragazzi sono privati dei contatti esterni con i genitori e gli amici. È difficile quando invece che all’inclusione bisogna educare anche alla diffidenza e al distacco sebbene nel rispetto dell’altro. L’importanza della presenza di un educatore risiede nel significato della parola educazione. Essa deriva dal latino ex-ducere che vuol dire letteralmente “tirar fuori quello che è dentro”. È chiaro, quindi, quanto un educatore non sia paragonabile ad un insegnante, seppure nel suo percorso formativo rientrano nozioni di psicologia, pedagogia, didattica, sociologia, ma utilizza questi concetti per instaurare un rapporto dualistico con l’utente, una relazione di “aiuto”, che consenta a quest’ultimo di accrescere la propria autonomia, indipendenza, conoscenza di sé, di responsabilizzarsi e camminare con le proprie gambe in lungo e in largo per il mondo attraverso gli strumenti acquisiti e interiorizzati. L’educatore è una figura fondamentale perché “regala futuro” consentendo alla barca di navigare in mezzo al mare senza perdere la bussola e l’orientamento. I ragazzi all’interno della struttura cucinano, giocano evitando il contatto fisico, studiano secondo le disposizioni del Governo attraverso la didattica a distanza con il supporto degli educatori (che si preoccupano anche dell’igiene degli stessi ragazzi) e svolgono attività di svago e apprendimento.
Queste sono le testimonianze di Michele, Agostina, Pierluigi, Luca e Antonio, educatori del “Gruppo Appartamento SAS” Celico-Cosenza che attualmente ospita 7 minori
Michele
Faccio l’educatore di comunità fin dall’istituzione dei gruppi appartamento in Calabria, dal 1978. Da sempre il mio turno di lavoro è di 24 ore, per scelta responsabile al fine di garantire un punto di riferimento stabile ai minori per quanto più possibile. Al tempo del corona virus il posto, gli orari, i gesti sono gli stessi di sempre, anche se questo non deve far pensare ad una routine sempre uguale a se stessa o addirittura noiosa, no, questo il lavoro dell’educatore non lo contempla. Tutto bene fino al mio arrivo al portone dell’ingresso, dove in questi giorni campeggia un divieto per gli estranei con tanto di firma e timbro della presidente della Calabria Jole Santelli, al fine di proteggere i minori che sono ospiti. Oltre al cartello ci sono tutte quelle misure sollecitate dai vari decreti che si sono succeduti e che prevedono la sanificazione degli ambenti, l’igiene costante delle mani, l’utilizzo delle mascherine, la distanza sociale.Il cartello di divieto come la distanza sociale è di per se un controsenso, non combacia con la natura e la peculiarità dei gruppi appartamento che sono comunità educative di tipo familiare, aperte e inserite nel tessuto sociale di un territorio. Quindi nel poco tempo che abbiamo a disposizione lavoriamo per rendere i ragazzi autonomi dalle figure adulte, consapevoli della loro condizione di vita ed essere pronti ad operare domani una scelta che comunque sarà la loro. Abbiamo dovuto far comprendere e accettare nuove regole dello stare insieme, il rispetto profondo del sé e dell’altro, oggi più che mai
Agostina
Ma inevitabilmente c’è il ribelle di turno. Scappa, o per lo meno ci prova per poi ritornare nel posto che adesso è la sua casa, dove sa di essere accolto, curato e anche punito come in una normale famiglia. Ecco perché facciamo questo lavoro, perché alla fine diventiamo il papà o la mamma che questi ragazzi in effetti non hanno mai avuto. In questo momento difficile i ragazzi sono tanti, le richieste sono tante. Allora che fare? Facciamo dolci, abbiamo passato la pasquetta sul balcone, balliamo, giochiamo, litighiamo e facciamo la pace. Alla fine ritorniamo ad esser una grande e bella famiglia, allargata, diversa, ma sempre una grande e bella famiglia
Pierluigi
Svolgere il turno in comunità, in questo particolarissimo ed insolito periodo, ha un retroscena fatto di moltissime e diverse sensazioni. Finito il turno esci con pensieri sempre diversi, che vanno dalla soddisfazione motivante al ripensamento su qualche situazione in cui, a posteriori, avresti agito diversamente. Con i ragazzi condividiamo episodi piacevoli e meno piacevoli. Il tutto avviene nell’arco della giornata, quindi del turno, in cui ci troviamo a gestire le emozioni, le frustrazioni, i nervosismi, le euforie improvvise degli adolescenti a cui nessuno, prima di entrare in comunità, ha indicato la strada da seguire, lasciandoli in balìa di un mondo molto più grande e cattivo di loro e da cui, purtroppo, hanno appreso. Il tutto avviene in maniera molto più concentrata rispetto alla condizione di normalità in cui la mattina si va a scuola, il pomeriggio si esce o si va a giocare a calcio: insomma, situazioni più dilatate, che permettono ai ragazzi di sfogare le loro energie. Molto più spesso del solito avvengono episodi che ci costringono, vista la particolarità del momento, ad intervenire in modo più deciso sia individualmente che in equipe tramite riunioni. Durante i turni le circostanze che richiedono il nostro intervento sono praticamente continue, anche per la tipologia di ragazzi presenti, spesso molto infantili e completamente immersi nella condizione di alienazione che “imprigiona” le nuove generazioni, causata da strumenti come gli smartphone, diventati ormai parte del loro corpo e del loro cervello. Ed è spesso molto difficile creare un punto di contatto che smuova loro una riflessione critica su quello che sta accadendo e non solo, anche sulla realtà generale. Ma quando questo succede ci dà grande soddisfazione e soprattutto motivazione a voler insistere. Parlare con loro di questo periodo particolare richiede enorme impegno e cerchiamo risposte che possano mettere positività, senza però omettere la realtà delle cose. È una situazione inedita in cui ci si conosce e ci si mette alla prova più velocemente del solito.
Luca del gruppo appartamento Casa Serena di Celico
I ragazzi vivono questa fase con angoscia, non hanno realizzato molto bene quello che sta succedendo e hanno difficoltà a capirlo. Le loro emozioni si alternano a fasi, tra paura, impotenza verso la situazione, insicurezza sul futuro, ma anche rabbia e tristezza nel non sapere come e quando poter riprendere la loro vita in mano. Si sentono isolati, “ai domiciliari” come qualcuno di loro ama definirsi. In tutto ciò ci siamo noi, anche noi esseri umani con emozioni e sensazioni non sempre belle. Quello che sto provando a fare è rassicurare i ragazzi sul fatto che tutto ritornerà come prima, che le amicizie quelle vere in questo momento magari si stanno consolidando grazie alla lontananza, che la famiglia può essere rivalutata e vista con occhi diversi, ma al contempo cerco sempre di analizzare insieme a loro le difficoltà che la società sta affrontando ora. Purtroppo non possiamo sempre mantenere le distanze come previsto, questo arrecherebbe ulteriori danni sulla psiche dei ragazzi ma cerco spesso di distrarli e posizionarli in modo giusto magari per vedere un film o cenare. Tutto questo per noi antipatico perche lo scopo della struttura è proprio quello di comunità, di condivisione. Gli orai di 24 ore spesso mi permettono di concentrarmi su ognuno di loro e organizzare il turno in maniera individuale e semplificato per ognuno di loro; è fondamentale sempre stimolare i ragazzi e proporgli attività affini alle loro capacità. Questo per permettergli di stare sempre ancorati alla realtà.
Antonio
Faccio l’ educatore per scelta da più di 10 anni e amo questo lavoro, quando sto a contatto con i ragazzi che per svariati motivi percorrono un pezzo della loro vita insieme a me in comunità. Sono felice quando un ragazzo dopo tanto tempo si ricorda di me anche solo per un saluto e per ricordare i tempi trascorsi insieme. In questo strano periodo il lavoro su per giù è rimasto lo stesso, ma facciamo fatica ad attuare alcune regole soprattutto quelle che riguardano la distanza sociale. Il non poter condividere emozioni e stati d’animo che passano attraverso la vicinanza ed il contatto è una dura prova per l’educatore e per i ragazzi stessi. In questo periodo il ritmo è rallentato ma stiamo cercando di vivere al meglio questa situazione inconsueta ed ogni giorno impariamo ad apprezzare le piccole cose della quotidianità come ad esempio alzarci la mattina a fare colazione con i ragazzi che preparano torte o crêpes alla nutella e ballano con la radio accesa. Non mancano di certo le liti e le discussioni tra i ragazzi che portano a scontri verbali accesi e che si fa fatica a ridimensionare considerata la stretta vicinanza e il loro non potersi sfogare fuori. Infondo l’educatore non è altro che un abile marinaio che in mezzo al temporale in mare aperto sa domare la tempesta e ricondurre la nave in un porto sicuro.
Gilda Pucci