Pasqua in quarantena: i miei “pipi e patati” conditi da ricordi ed emozioni
Avete presente quei piatti intoccabili della tradizione della vostra famiglia? Quelli che appena ci pensi, chiudi gli occhi e ti sembra di sentirne il profumo. E se ti fermi, prima di mettere mano ai coltelli, ti risuonano nelle orecchie voci e rumori che ti riportano indietro nel tempo.
Ecco: per me quello dei “pipi e patati” è uno di quei piatti. Non è sicuramente una ricetta complessa, anzi. Ma, come in tutte quelle cose in cui entrano in gioco le emozioni, replicarla è più facile a dirsi che a farsi. Perché anche se tua mamma ti racconta trucchi e segreti, mentre la ascolti tu sai già che non verranno mai buoni come i suoi. E in fondo non vuoi nemmeno che lo siano. Vuoi solo sentirti vicina a lei (#distantimaunite) e a tutti quei ricordi che ti evoca la preparazione di quel piatto.
Mentre sbuccio le patate e le butto in padella rigorosamente separate dai peperoni (perché così mamma ha detto e così si fa) lascio correre i miei pensieri (stando attenta però a non bruciarmi con gli schizzi d’olio, che essendo io notoriamente pasticciona il pericolo è dietro l’angolo)…
Aprendo il cassetto dei ricordi…
Ed eccoli davanti a me, a pronto uso nel mio cassetto della memoria, quegli infiniti pranzi di Pasquetta o di Ferragosto! Intorno a tavolate così lunghe che per sentire quello che diceva un commensale che non ti stava accanto come minimo dovevi alzarti, che la confusione era così tanta che percepivi solo un sottofondo rumoroso e incomprensibile di voci. Che poi chissà perché il giorno dopo Pasqua, sia che cascasse a marzo o ad aprile, il camino stava sempre acceso per compagnia e c’era il gioco del “chi va a Roma perde la poltrona” per assicurarsi il posto in prima fila davanti alle fiamme scoppiettanti. Quei pranzi in cui arrivavano i “pipi e patati” e anche se stavi già con la pancia bella piena e pronta ad esplodere, per quella delizia uno spazio lo trovavi sempre. E non si sa perché avanzava un po’ di tutto ma di quelli mai, anzi era una lotta a non far riempire il piatto che sennò: “non bastano per tutti” (un incubo)! E poco importava che a volte fossero un po’ più piccanti del solito o che magari avevi già assaggiato di tutto. A quelli proprio non potevi rinunciare (le donne della mia famiglia dovrebbero spiegarmi perché servivano questa portata dopo tutto il resto!).
A tutto questo già ricco bagaglio di sentimenti e memorie, aggiungici poi che a farla da protagonista in quelle giornate era la nostra nonna, che primeggiava in tutta la sua bellezza ed eternità. E a quel punto il gioco è fatto: le lacrime sono assicurate.
L’ingrediente segreto: l’amore
Capirete perché, al di là del risultato finale, fare questo piatto per me è stato liberatorio. Dentro ci ho messo un’abbondante dose di quell’ingrediente segreto che la mia mamma mi ha sempre tramandato: l’amore!
L’amore per la tradizione, per quei ricordi che ti tengono compagnia anche e soprattutto durante questa quarantena, che nemmeno a farlo apposta coincide con le festività pasquali. Che anche se sai che quelle giornate non sono più replicabili, te le porti dentro come il tesoro più prezioso, fanno parte di te. E hai un solo desiderio: trasmetterle a tua figlia! P
erché quelle immagini, quelle emozioni ti nutrono l’anima e si fissano indelebili nella tua memoria. E non sbiadiscono nemmeno con il passare degli anni. Ed ecco perché nella mia Pasqua in quarantena “pipi e patati” proprio non potevano mancare.
Ops, pensavate vi dessi la ricetta? Nemmeno per scherzo. Immagino che possiate tranquillamente trovarla su internet o chiederla a qualsiasi calabrese doc. Ma sicuramente quelli che non troverete elencati sono gli ingredienti che ci ho messo io e che con questo post ho voluto condividere con voi.
Perché si cucina sempre pensando a qualcuno. Altrimenti…”stai solo preparando da mangiare!”
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